
Non tutta la Carne però si presta ad essere facilmente manipolata. Parliamo del transessuale e del transgender; laddove il primo sente di appartenere al sesso opposto rispetto alla nascita, mentre il secondo sceglierebbe di collocarsi nel limbo intermedio – legalmente non riconosciuto – fra i poli del maschile e del femminile. Ora, queste tipologie identitarie lasciano emergere due nodali questioni: l’eccedenza del genere rispetto al sesso che nulla dice sul suo destino, e l’irriducibilità dei corpi all’operatore logico del binarismo.
Particolarmente eloquente, peraltro, è il caso del transgender. Quali sono le conseguenze del dover per forza ridursi all’una o all’altra categoria? Un misconoscimento totale di tutte le persone in cammino verso la propria declinazione identitaria; un netto rifiuto nel concedere significato al corpo a monte del suo congelamento giuridico; una sottile violenza che nega verità alla transizione ed alla eventuale scelta di definitiva indeterminatezza.
Bene, sfida decisiva del nostro tempo – sostengono i difensori del movimento lgtiq[1] – consta proprio nel liberare il sesso dal sapere per emancipare l’immaginario dal retaggio storico che va attribuendo al maschio eterosessuale lo status privilegiato. A ragione, non dovremmo lasciarli soli in questa difficile impresa; la posta in gioco è altissima: scarcerare il sesso significa scalzare dalla mente la più coriacea radice retorica del tecno-capitalismo. Spezzare il monopolio maschilista di costruzione dei corpi significa inaugurare una nuova ed intentata possibilità d’approccio al reale, una diversa lettura dei rapporti umani oggi invero esclusivamente fallocentrici vieppiù nella semantica economica (crescita, sviluppo…).
Volete conoscere la salute di una democrazia? Monitorate il grado di libertà delle minoranze.
di Michele Cavejari