Blade Runner 2049: La recensione

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Ho visto cose che voi non-cinefili non potreste immaginarvi…

di Silvia Pegurri

“Basta sequel!” Ammettetelo, anche voi lo avete pensato alla notizia dell’uscita del nuovo Blade Runner: 2049. Ma come ogni volta siamo andati al cinema nella speranza di vedere qualcosa di nuovo e non solamente l’ennesimo proseguimento di una saga già conclusa. Questa volta la pellicola di Denis Villeneuve ci sorprende: non è un remake per fare più soldi, ma un capolavoro al pari del primo film. Il mondo in cui è ambientato è lo stesso del vecchio Blade Runner, ma ci troviamo in un’altra realtà, in cui l’ordine regna e non c’è nulla per cui valga la pena morire.

Le relazioni personali si rivelano vere solamente attraverso la tecnologia, mezzo attraverso cui l’agente K, un fantastico Ryan Gosling, crea un mondo fittizio, lontano dal suo lavoro di Blade Runner. Persino le sue interazioni con la dottoressa Ana Stelline, forse la più “umana” di tutto il film, avvengono attraverso un vetro che li isola, incredibilmente vicini e distanti allo stesso tempo. Ci troviamo in un mondo in cui gli umani regnano, ma non c’è più umanità.

Le ambientazioni riflettono la storia, diventando man mano sempre più oniriche e decadenti. Si passa dai campi di proteine delle prime scene, ordinati e precisi, alla città caotica e fredda illuminata dalle abbaglianti luci a neon, in cui si svolge la parte centrale. Solo dopo la metà cominciamo a vedere gli sterminati campi di ferraglia e i deserti dal colore arancio abbagliante, che sembrano immergere tutto nella loro luce ambrata, fino ad arrivare a città abbandonate nel pieno del loro splendore.

Un tuffo nel passato, per noi ancora molto presente, monito di quello che potrebbe succedere anche alla nostra società. Ma il merito più grande di questo film è il finale: non è un semplice action movie in cui l’eroe è buono e combatte contro i cattivi; qui la battaglia è personale, intima e segreta, una lotta per avere qualcosa per cui valga la pena morire. Dopotutto “morire per una giusta causa è la cosa più umana che possiamo fare”.

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