Quando anche non dire è fare

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                                                                                  (clikka per il pdf del numero di novembre di Pass)

Non sono bastati gli appelli internazionali edil sostegno “virtuale” dato alla giovane ragazza tramite Facebook e altri social network.
Persino papa Franesco è intervenuto nella questione.
Reyhaneh Jabbari non ha voluto negare ciò che aveva subito. Fino a salire su quello sgabello, in piedi, accanto a quella corda penzolante. Fino a morire per impiccagione.
Perché per creare un valore – diceva la ventiseienne iraniana dopo 5 anni nel braccio della morte di una prigione di Teheran – si deve innanzituttopreservare, anche se si muore.
E lei quel valore non solo lo ha creato, ma lo ha gridato al mondo intero.
É stata condannata nel 2009 per aver ucciso un uomo che aveva tentato di violentarla. È stata uccisa per non aver smentito la sua versione nonostante le avessero promesso salva la vita. La giovane donna con quel silenzio non èvoluta scendere a compromessi. Lo scorso 25 Ottobre il suo volto era su tutti i giornali.

Eppure Reyhaneh la si incontra spesso: negliocchi gonfi di quelle donne che ogni anno raccontano di “aver sbattuto contro la porta”… In quelle mani che tremano giustificando gli effetti di un amore bestiale. Inquegli zeri che seguono il numero 6, perché sono più di 6 mila all’anno le vittime di violenza, solo in Italia.
Relazioni che per qualche motivo bruciano come prese d’assalto, allontanate dal loro fine e diventate invece atti di violenza per rivendicare il possesso dell’altrapersona.
E si pensa di possederla, fino a mostrarle che cosa si può fare con lei. Fino a spezzarle le ossa mentre gli echi delle urla si smorzano tra le mura di casa.
Sì, perché non sono i vicoli bui della città il palcoscenico più calcato da questi assassinii di umanità. Sono cucine, salotti, l’angolotra il portaombrelli ed il caminetto.
Èodore acre di ingiustizia che si sente provenire da queste storie.

Prendiamo in considerazione qualche dato: da alcune indagini Istat sviluppate negli ultimi due anni, sono circa tre milioni le donne colpite da episodi di violenza domestica in tutto il mondo.
Di queste solo il 18,2 % ha definito ciò che ha subito “reato”, il 44% “qualcosadi sbagliato”. Preoccupa il 36% di loro (di noi?) che lo chiamano “qualcosa che è accaduto”. Un evento. Ècapitato.
Smettiamola di contare, perché anche se i numeri fossero più irrisori di certo la situazione non sarebbe meno grave!
Chiediamoci piuttosto PERCHÉ si arriva a tanto.
Perché queste donne trascinano il loro amore come una vecchia coperta logora, fradicia , fino a coprire quello che è accaduto. Fino a mentire non più solo al vicino di casa , alle amiche , ai figli… Anche a se stesse.
E se lo specchio poi riporta con sbadata violenza alla realtà di quel “violaceo” marchio sulla guancia, lo si definisce ” atto d’ amore “.
Spesso quello schiaffo, quel morso, quello stupro non èaltro che il modo più diretto, e purtroppo anche piùefficace, chel’uomo ha per ristabilire il potere sulla donna. In una società in cui la libertà femminile aumenta, il fenomeno si fa ancora più grave proprio a causa di questa asimmetria.
Non limitiamoci a pensare alla violenza cosi come la raccontano talvolta film e giornali.
Umiliare è violenza. Minacciare è violenza. Picchiare è violenza. Ed IL SILENZIO è il più terribile complice, perchéchi sa e non denuncia, chi subisce e non denuncia non fa altro che mettere una mano sulla bocca di chi non sa gridare.

di Teresa Giavarina

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