North Country: una battaglia per tutte

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In occasione del 25 novembre, ovvero la giornata contro la violenza di genere, la rubrica culturale di Pass parlerà dei diritti delle donne e di come non rispettarli rappresenti una forma di violenza. Con questo secondo articolo affrontiamo un tema ancora molto attuale, quello delle molestie sessuali e delle discriminazioni nei confronti delle donne nell’ambito lavorativo, osservando il caso del film North Country.

Il mondo del lavoro è già difficile di per sé. Lo è ancora di più quando bisogna avere a che fare con discriminazioni e molestie quotidiane. Questo è quello che devono passare le donne in North Country.
Il film, uscito nelle sale cinematografiche statunitensi nel 2005 e in quelle italiane nel 2006, è diretto da Niki Caro e vede come protagonista Charlize Theron, la quale interpreta Josey Aimes, la donna al centro della storia. Questo personaggio è basato su Lois Jenson, colei che ha intentato una causa contro la miniera nella quale lavorava, in Minnesota, nel 1984. Il film, tuttavia, è ambientato nel 1989 e le tempistiche variano rispetto a quelle reali, ma esso racconta effettivamente ciò che è successo a Lois e alle sue colleghe.
La protagonista del film è una donna che subisce abusi dal marito e trova la forza per fuggire insieme ai suoi due figli, Sammy e Karen. Torna dai suoi genitori, con i quali ha un rapporto complicato, soprattutto con il padre. Josey ha bisogno di soldi e trova un’opportunità per guadagnarsi da vivere grazie a Glory (Frances McDormand), una sua vecchia amica, che le propone di lavorare in una miniera. Da questo momento in poi, si succederanno vari eventi che porteranno Josey allo sfinimento e a denunciare l’azienda in cui ha lavorato per i costanti abusi subiti da lei e dalle sue colleghe.
Il film si concentra molto sul processo ma, tramite dei flashback, ci viene mostrato il percorso che ha portato Josey a trovarsi in quel tribunale.
Innanzitutto, vediamo che la comunità della città in cui è cresciuta Josey ha molti pregiudizi nei suoi confronti. Sia perché ha avuto figli da giovane, da uomini diversi, sia per il suo lavoro attuale. Perfino sua madre arriva a giustificare l’abuso del marito di sua figlia.
Josey cerca di andare avanti, ma scopre la realtà misogina che si nasconde nella miniera e che nessuno, o nessuna, ha il coraggio di raccontare.
Fin dall’arrivo delle donne sul luogo di lavoro, i loro colleghi uomini non smettono quasi mai di prenderle di mira. Fanno battute a sfondo sessuale, le fissano, le offendono con insulti misogini, le toccano senza il loro consenso. Josey prova a ignorare tutto questo, su consiglio delle colleghe, e si concentra sulle soddisfazioni che il lavoro le dà, come la possibilità di comprarsi una casa per sé e i suoi figli grazie ai soldi guadagnati. Però le molestie a lavoro continuano e per Josey è sempre più difficile subire in silenzio. Così prova a dire qualcosa, ma non viene creduta. Il suo supervisore non le crede, i colleghi e le colleghe non le credono e i suoi stessi genitori dubitano di ciò che racconta.
Dopo vari tentativi, la protagonista si licenzia, ma non finisce di combattere. È decisa a denunciare l’azienda e lo fa con l’aiuto dell’avvocato Bill White (Woody Harrelson), amico di Glory e di suo marito Kyle. Bill le propone di intraprendere con le sue colleghe un’azione collettiva (class action), ovvero di denunciare tutte insieme l’azienda. Le lavoratrici non ne vogliono sapere nulla, dato che quando Josey ha provato a dire qualcosa le cose per loro sono solo che peggiorate. Lei però è convinta di ciò che sta facendo e va avanti. Durante il processo è costretta a rivivere momenti difficili del suo passato, come lo stupro da parte di un suo insegnante del liceo. Il suo ex ragazzo ed ex collega Bobby, testimone della violenza, nega tutto. Solo dopo le continue pressioni dell’avvocato White cede e confessa la verità. Poco dopo, alcune persone nell’aula del tribunale mostrano il loro supporto a Josey, alzandosi in piedi, tra cui alcune sue ex colleghe e i suoi genitori. Solo così la donna riesce a vincere la causa, dato che ci sono abbastanza querelanti per presentare un’azione collettiva.
Durante il corso del film gli uomini sono quasi sempre uniti, sicuri di sé, si supportano a vicenda nel perseguitare le loro colleghe e si proteggono quando uno o più di loro vengono accusati. Josey è sola fino alla fine. Le sue colleghe sanno cosa sta provando perché lo stanno vivendo anche loro sulla propria pelle, ma hanno troppa paura di ribellarsi alla situazione perché non vedono come le cose possano cambiare, ormai si sono abituate e non vogliono rischiare.
Arriva però il momento in cui le donne iniziano a reagire, ispirate da Josey o perché sono esauste. Così Alice, la madre della protagonista, affronta il marito e cerca di fargli capire che il suo lavoro da casalinga, non retribuito, è importante tanto quanto il suo. Glory, quella che aveva consigliato a Josey di ignorare tutto e andare avanti, è la prima che mostra il suo supporto all’amica in tribunale. Cherry, una ragazza molto giovane con una situazione familiare difficile, è la prima ad alzarsi in tribunale. Piano piano, le donne iniziano a fidarsi. Si fidano di Josey e confidano sul fatto che le cose possano davvero migliorare. Infatti, nella vita reale, non solo queste donne hanno ricevuto un notevole risarcimento, ma hanno anche ottenuto l’istituzione di una politica sulle molestie sessuali. La battaglia di una singola donna è diventata la battaglia di tutte e ognuna ha potuto vederne i benefici.
Dagli anni ’80 ad oggi è stata fatta molta strada, molti paesi hanno implementato leggi o politiche contro le molestie sessuali a lavoro, ma le discriminazioni sono ancora fin troppo presenti. Questo, purtroppo, non permette a molte donne di lavorare in condizioni dignitose e ostacola i loro successi.

Arianna Saikali

Glory e Josey sul luogo di lavoro in una scena del film

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